mercoledì 9 ottobre 2013

Davanti allo schermo grigio di un televisore spento va in scena lo spettacolo degradante dell’umanità


Nel pieno rispetto della poetica di Werner Schwab, Le presidentesse e il loro microcosmo saturo di ipocrisia, ignoranza e falso moralismo è già davanti ai nostri occhi, non ha bisogno di rivelarsi: c’è. È un corpo unico ammassato davanti alla televisione. Senza capo né coda, senza cervello né anima, è li. Si muove senza fretta: aspetta che noi spettatori ci siamo accomodati per prendere vita, per prendere respiro. Lentamente, ansimante, l’ammasso prende vita e accende il televisore. Il corpo unico si articola in tre donne: Erna, Grete e Maria. Lo squallido spazio esistenziale nel quale le tre vivono non ha bisogno di altro arredo se non di un gabinetto e di un tavolino sul quale appoggiare l’unico loro oggetto di interesse: la televisione.

foto Chiara Ferrin

foto di Chiara Ferrin

Tutto claustrofobicamente chiuso attorno alla televisione: lo spazio non ha vita se non all’estremità della scena, e il grigiore dello schermo illumina i volti inceronati; Erna ha un berretto di forma fallica in testa mentre dà libero sfogo alle sue prosopopee moraliste, bigotte, sessualmente frustrate, seduta sul gabinetto. Grete è ossessivamente legata alla sua borsetta, la stringe al ventre mentre cerca di zittire i suoi appetiti carnali, le tragiche crepe della routine quotidiana, attenta ad ogni movimento di Erna perché possa riuscire a rubarle il posto a sedere. Maria sbuca da sotto il tavolo, conquisterà il trono nella seconda parte dello spettacolo; non ha averi, non ha orpelli, non ha disgrazie di cui lamentarsi beatamente: lei è ben contenta di galleggiare nella merda. Nel silenzio totale, la posizione dei corpi e l’uso dello spazio raccontano di un mondo chiuso e bigotto, di desideri lasciati a marcire zittiti dalle urla del moralismo, del precetto cristiano, del buoncostume ma anche di perversioni vissute nell’ipocrisia del chiuso domestico e di mani sporche di merda e fedeltà candidamente esibite da anime pure legate ai voti della fede.


Tutta la prima parte gioca sapientemente con la posizione dei personaggi: movimenti continui che danno vita al corpo unico, lo esibiscono a poco a poco frammentandolo nelle psicologie malate delle tre singole donne fino ad arrivare alla scoperta delle loro ferite, delle loro miserie: figli che odiano l’immagine di se stessi, affogati nell’alcol e nella violenza domestica si negano alla società della divina provvidenza. Si sottraggono alle norme del vivere sociale, alla quiete familiare, alla riproduzione mentre le madri, accorte, impegnano le loro giornate a litigare per il primato delle superstizioni: chi si vota anima e corpo alla religione, chi alla tuttologia medica. Con un misto di panico e rabbia osservano il mondo cadere sempre più in basso, dall’orlo del baratro lo vedono scivolare senza altro sforzo se non quello di ricordargli, di tanto in tanto, di non avvicinarsi troppo alla merda. Maria è al di sopra: lei non si lamenta, lei seda gli animi e si sporca le mani perché così vuole la provvidenza. La piccola Maria è amata perché servile, docile, forte, vocata in tutto e per tutto all’aiuto del prossimo: stura i cessi senza i guanti perché anche la merda è opera del creatore. 

 
Nella seconda parte, la festa conclusiva di Bulgakoviana memoria è tutto un rincorrersi di voci attorno ad un quadro fin troppo statico, così che il lavoro sul personaggio, punto di riflessione importante per la compagnia Nerval Teatro, perde la sua iniziale incisività: tre microfoni per tre racconti e il trono finalmente occupato dalla pura Maria. Le madri gozzovigliano accecate dalle loro ossessioni, asfissiate dalla totale mancanza di libertà d’azione: Grete chiede continuamente a Lydia cosa fare dell’aitante e virile corteggiatore, Erna si prepara alla sua vita da salumiera accanto al vate Wojtyła e Maria rende felice l’umanità correndo da un bagno all’altro. Finché l’incanto non si strappa, il demonio non decide che la festa deve terminare e allora la società si pulisce il viso dai bagordi e dalle oscurità del pensiero: la merda torna tutta a galla nella soave voce di Maria e il moralismo borghese non ce la fa a resistere, e alla fine anche questa Pasqua è onorata, anche stavolta l’innocente è sgozzato.

Nerval Teatro – Le presidentesse

Visto a: Trasparenze – Atelier della scena contemporanea (Modena) presso lo spazio TIR danza il 5 ottobre 2013

Elvira Scorza

Nessun commento:

Posta un commento